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La voce

del tassobio

Curiosità e cose uniche: Septariae e fonti solforiche

5 – Altre curiosità in Val Tassobio

L'Acqua marcia

Lungo il Fosso di Maiola, affluente del Rio Maillo, esiste da sempre una sorgente solforosa che la gente del posto chiama L'aqua mârsa, nome dovuto all'odore indisponente che la sorgente emana. Si trova alla confluenza dei sentieri che collegano, nelle diverse direzioni, i borghi di Roncolo, Maiola, Donadiolla-Castellaro. Dagli anni cinquanta in poi venne piano piano abbandonata. Intorno al 1990 è stata rimessa in uso. Per l'esiguità del getto e la posizione oltremodo fuori mano rispetto agli abitati la sorgente è nota solo a chi abita le borgate nominate sopra. L'acqua la si andava a prendere per curare il fegato e favorirne le funzioni. Oggi qualcuno vi si reca ancora, più per pretesto che per convinzione, forse a caccia di ricordi della propria infanzia. Resta comunque una buona scusa per fare una sgambinata fra i boschi.

Una sorgente analoga si trova a Vezzolo, tra Rosano e Castelnovo. Un’altra viene ancora ricordata in prossimità di Casalecchio, lungo il sentiero che collega la località al Mulino Paoli, riattivato da poco.

A Vedriano invece si ha memoria di una sorgente di acqua salata che sgorgava poco lontano dall'abitato. [Testimonianza di Afra Campani].

Le Septàrie

Nel tratto del Tassobio che va dal vecchio Mulino Paoli a quello dei Rinaldi, sul lato di Vedriano, vi sono le così dette sadine. È un calanco continuamente dilavato dalle intemperie, privo quasi del tutto di vegetazione. Lungo questi calanchi si notano trasudazioni di acqua solforosa che si manifestano con una colorazione biancastra del terreno, abitualmente grigio. Non è stato l'uomo a dare importanza al fenomeno. Semmai, potendo, lo avrebbe eliminato per rendere fertile il terreno. Sono invece state le pecore che, condotte al pascolo per sfruttare anche le piccole quantità di erba che nasceva fra i calanchi, una volta imparata la strada vi correvano per leccare i sassi resi salmastri, con grande stizza di chi le doveva accudire.

Septarie 1

 

 

 

       Septarie 2

 

 

 

 

Due esemplari di Septariæ

Qui si possono trovare minerali particolari, le Septàriæ, cioè “masse rocciose, ovoidali o tondeggianti, di dimensioni variabili, costituite da una crosta reticolata divisa in setti e spesso parzialmente cave all’interno), che racchiudono minerali ben cristallizzati (barite, calcite). [Testimonianza di Massimo Rabotti]. (Cfr.: Del Caldo, Moro, Gramaccioli, Boscardin: GUIDA AI MINERALI, Fabbri, 1973, pag. 155).

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Curiosità e cose uniche: le pietre magiche

4 – Curiosità in Val Tassobio

Le pietre magiche

A Borzano di Canossa le chiamano Pietre Magiche. - "Nel mezzo di un campo affiora dai coltivi un grande masso di roccia nera, di origine vulcanica, la cui superficie è letteralmente ricoperta da un grande numero di cavità, assimilabili a coppelle, ... Tuttavia il tema dei massi coppellati ricorre frequentemente nell'archeologia della montagna, proprio in quei luoghi in cui esistono affioramenti rocciosi collocati in posizione di alta panoramicità". (Cervi - Iotti, op. cit. pag. 61).

L'appellativo di Pietre magiche va collegato alla possibilità che esse servissero per riti religiosi dei popoli primitivi (Liguri o Celti). Pare infatti che le coppelle venissero riempite di oli, grassi o resine e poi accese durante la notte di certe ricorrenze particolari. Tali testimonianze sono presenti in moltissimi luoghi ove vivevano i celti, lungo tutto l’arco alpino, in Garfagnana e in Emilia-Romagna.

Nell’estate 2016 il CAI di Reggio ha scoperto una grossa pietra, con scanalature e coppelle, poco sopra Legoreccio, sul Monte Lulseto. Il sito è ancora oggetto di studio da parte degli esperti della Università di Bologna, ma sembra si tratti di ciò che resta di un centro di culto preistorico.

Monte Lulseto 1

 

Il grosso macigno di Lulseto, presso Legoreccio-Crovara,

scoperto nel 2016. [Foto G. Cervi]

Sapendo che i celti mettevano in relazione tra di loro i santuari in base a dati astronomici e fasi lunari, sarebbe interessante vedere se il masso di Borzano e quello di Lulseto sono “a vista” tra di loro, e quasi sicuramente con altri punti dei quali non è ancora stato scoperto la collocazione.

Il risultato degli esami fotografici con le tecnologie moderne. Il macigno è stato

virtualmente liberato da tutti gli apporti del tempo.

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Curiosità e cose uniche: la Pietra Nera

3 – Curiosità e cose “uniche”

La Pietra Nera

Lungo l'antico sentiero che da Pietranera raggiunge il Tassobio si rasenta un grosso macigno di colorazione oscura, di forma vagamente arrotondata e di una presenza inquietante. È il sasso che ha dato il nome alla borgata (la Pietra Nera) e che la gente di qui chiama ancora il Sasso della prigione, magari con giustificazioni difficili da decifrare. Al momento infatti nulla lascia intendere che quassù vi fosse un carcere, o che all'interno del macigno esistessero i tanto temuti pozzi rasoi. Non ci sono più tracce di costruzioni. Una pubblicazione recente (1) ha però dato ragione alle voci del popolo confermando la presenza di un fortilizio sulla sommità del sasso, il Castrum Prædæ [Fortezza della Pietra], eretto a metà del XIIIº secolo da un ramo dei Della Palude e dismesso nel 1594, quando il territorio del feudo fu ceduto ai Conti Pepoli. Il materiale edilizio fu poi utilizzato per le costruzioni del borgo di Pietranera. (1) DA CASTRUM PRÆDÆ A VEDRIANO - Passeggiate tra colli e borghi di Elisabetta Benassi e don Efrem Giovanelli - Strenna del Pio Istituto Artigianelli - 30 Giugno 2006.

Il Sasso di Pietranera

 

Il sasso di Pietranera come lo si vede da Castellaro. [Arch. R. S.]

Nella memoria della gente sopravvive l'idea di un luogo sinistro, legato alle gesta brigantesche dei Palude e alle leggende che circondano ogni castello, comprese le tetre prigioni.

Sempre nell'immaginario popolare vi è chi ha ritenuto il macigno un meteorite qui precipitato, suggestionato dalla natura del sasso, completamente diversa dal resto del territorio, e dall'aspetto di un blocco incandescente, raffreddatosi sul posto. In realtà si tratta di un grumo vulcanico di natura basaltica qui affiorato. Il termine scientifico di tali concrezioni è Rocce Ofiolitiche. Sono rocce basiche, tipiche dell'Appennino settentrionale e di giacimenti cupriferi (rame) della Toscana. Il nome deriva dalla composizione di due termini greci: Ofis = serpente e Lythos = pietra, ed indica “gabbri associati a serpentino e diabasi”.

Come mai si trova qui, isolato? "...la loro attuale collocazione geografica è dovuta a complessi eventi geologici che hanno dislocato questi blocchi spostandoli notevolmente dalla originaria zona di effusione, probabilmente identificabile nell'area dell'attuale golfo ligure". (G. Cervi e M. Iotti: PERCORSI CANOSSIANI - Vol. IIº, 1999, pag. 25). Frammenti di rocce analoghe li troviamo a Borzano di Canossa, nella pineta di rimpetto a Gombio, e altrove, specialmente a Rossena-Campotrera.

Il Borgo di PIETRANERA, come detto, deve il proprio nome al macigno presente a sud-est dell’abitato. È un borgo sorto come entità rurale alla dipendenza del Castrum. Il punto di maggiore interesse è Casa Paoli. In antico, dal XIV° secolo fino al XVII°, il complesso era un convento. È passato poi a privati, tra cui la famiglia Paoli che aveva grandi possedimenti in loco, compreso un mulino. Attualmente la struttura è stata recuperata ed è sede di eventi culturali.

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Bacino e mulini del Tassobio

2 – Tassobio: un bacino idrografico di energia pulita

Il torrente Tassobio nasce nel territorio di Marola, presso lo spartiacque col Tresinaro, ed entra nell’Enza a Compiano, dopo un percorso di 21,50 km (solo per il tratto principale). Nasce a 735 metri sul mare e sfocia a 258, con un dislivello di 477 m. Ma il punto più alto di tutto il bacino si trova a 960 m. nel sottobacino del Rio Maillo, cioè sul lato di Bismantova che scende verso l’Albiaccio. Il bacino del Tassobio ha un’area di circa 100 km².

Gli affluenti più importanti:

Rio Maillo, da Bismantova alla confluenza nel Tassobio, sotto Gombio, in località

detta Al Šundirè, che significa: alla congiunzione dei rii;

Rio Tassaro, che nasce a Montepiano, presso Rosano, ed entra nel Tassobio di fronte

al Mulino di Chicchino;

Rio di Leguigno e

Rio di Beleo.

(Fonte: La Valle del Tassobbio - Proloco di Cortogno - 2011).

 chichino

Mulino di Chicchino oggi, recuperato e rimesso in funzione a scopo didattico. (Foto R.S.)

I Mulini

L’acqua del Tassobio, fino al 1950 circa, è stata la fonte energetica più importante, ed ha alimentato un numero considerevole di Mulini, di cui almeno 37 vengono ricordati con un nome preciso, (che a volte è cambiato nel tempo, ma regolarmente censiti dai governi), e così distribuiti:

-- lungo il corso del Tassobio: Buvolo, Chicchino, Paoli, Rinaldi, Rosati I°, Ariolo,

Leguigno, Cortogno, Grotta inferiore, Grotta superiore, Casina inferiore,

Casina superiore, del Castello (o di Marola);

-- lungo il rio Lèguigno: mulino di Leguigno;

-- lungo il rio Beleo: mulino dei Cerreti I° e II°, di Beleo, di Don Alessandro;

del Castello; di Chiccone o Mulinello;

-- lungo il Rio Maillo: mulino di Zannoni, Ferrari, Rosati II°, Maillo,

Fornace, Bellessere; di Maiola, della Schiezza, Mulinello I°, II° e III°

di Cagnola; di Fontanabuona;

-- lungo il rio Tassaro: mulino di Scalucchia, della Piàgna, Mulinaccio (Pineto).

(Informazioni prese da: De Lucis-Morselli-Rubin: AQUA MAŠNÂDA, CPCA).

CURIOSITÀ - Dopo le ultime glaciazioni (circa 10.000 anni fa), e il successivo riscaldamento, il Tassobio ha cambiato percorso più volte. Inizialmente era un torrentello che nasceva in prossimità di Piagnolo. Il Tassaro era molto più importante e raggiungeva l’Enza a Currada. Il Rio Maillo e quello di Leguigno viaggiavano verso Nord e raggiungevano l’Enza a Cerezzola. Successivi sconvolgimenti hanno fatto cambiare il corso dei torrenti suddetti fino a costituire l’attuale bacino del Tassobio, con direzione verso Ovest, unico caso in zona. (Cfr.: LA VALLE DEL TASSOBBIO, pag. 23 e seguenti).

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Una nuova rubrica

Spero di fare cosa gradita a molti “valligiani” rivisitando la Valle del Tassobio non tanto con escursioni (c’è già chi lo fa, e meglio di me) ma con la memoria, per cercare di capire, attraverso ricordi e citazioni, che mondo era quello dei nostri avi, quali bellezze naturali abbiamo a portata di mano, quale valore avesse un tempo il dialetto. Ci provo. Poi mi saprete dire.

1 – Cominciamo dal nome

È più esatto scrivere Tassòbbio o Tassòbio?

È consuetudine scrivere Tassobbio con due B. Ci sarà pur stato un motivo se qualcuno ha scelto questa grafia e l’ha adottata sia per le pubblicazioni a stampa che per la segnaletica stradale ed escursionistica, ma non ho trovato una spiegazione che giustifichi la scelta. Ed ogni volta che il nome ritorna il dubbio si riaffaccia. Leggendo il volume La Valle del Tassobbio edito dalla Pro Loco di Cortogno nel 2011, mi sono chiesto se la versione ufficiale fosse poi così sicura. A pagina 100 infatti si cita il primo documento scritto che conosciamo con il nome del torrente: flumen Tasubli. Il documento risale al 1116, un anno dopo la morte di Matilde. Alcuni secoli più tardi, nella visita pastorale di mons. Picenardi, (fu vescovo di Reggio dal 1701 al 1722), parlando di Crovara si dice che la chiesa di S. Giorgio si trova sopra lo strapiombo di un monte vicino al turrentem Tassubii, già con la doppia S ma con una sola B. E anche sulla carta del Vandelli (1746) compare ancora il nome Tassobio, questa volta in italiano, doppia S ma una sola B. Finora l’uso della doppia B l’ho trovato scritto in documenti posteriori al 1800. Ciò mi stuzzica il sospetto che si sia voluto toscanizzare il vocabolo. Tenendo presente che in latino (anche se si tratta di un latino amministrativo e non letterario) si diceva Tasublum, (e successivamente Tassubium), e che in dialetto si dice ancora e ovunque Tasùbi, con la S forte ma con una sola B, ritengo più logico scrivere Tassobio. La S forte, passando in italiano, è raddoppiata, e questo mi può star bene, anche se in dialetto è difficile distinguere se è doppia o semplice. E il dialetto dovrebbe essere il primo elemento da prendere in considerazione quando non ci sono altre garanzie.

Più arduo è affrontare l’etimologia del nome Tassobio. Di sicuro la radice Tas è anteriore al dominio romano, quindi è un termine celtico-ligure. Furono i Ligures Montani a popolare le nostre montagne, prima che i romani deportassero tutti coloro che erano sopravvissuti alle guerre. La presenza della stessa radice nel nome di quattro corsi d’acqua del nostro territorio mi fa pensare a qualche divinità preposta ai corsi d’acqua. Quei corsi sono: Tassobio, Tassaro, Tassinaro e anche Tresinaro, visto che in certe località viene ancora chiamato Tasnêra. È e resta comunque un'opinione personale questa, perché, nonostante ricerche e richieste di informazioni (a suo tempo lo chiesi anche a Luciano Serra, esperto del ramo), finora non ho trovato conferme.

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Doppio premio in Toscana e nelle Marche

Due premi in otto giorni: il primo nel concorso intitolato ‘Un monte di poesia’, ad Abbadia San Salvatore in provincia di Siena, dove Savino Rabotti è arrivato quinto con il componimento ‘Al tramonto’. Una settimana dopo a Falconara Marittima, in provincia di Ancona, Rabotti si è aggiudicato il premio speciale per la poesia a tema religioso ‘Il mio Angelus’, nel concorso ‘Laudato sie, mi’ signore’, giunto all’ottava edizione.

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Il premio nel nome di Borciani

Sabato 4 marzo 2017, al concorso di poesie dialettali 'Il dialetto per diletto, voci di Terra Reggiana', che si tiene da due anni a Pratissolo di Scandiano, curato da Maria Teresa Pantani e dal Circolo Anspi del luogo, Savino Rabotti ha ottenuto il secondo premio nella graduatoria generale e il premio speciale “Arturo Borciani”, istituito in memoria del poeta morto circa un anno fa. La poesia premiata si intitola 'Era già l’ora che…'. Nella motivazione del premio si legge: “Un testo delicato, con tratti di bucolica soavità che percorre le sensazioni, i sentimenti, i bisogni dell’uomo, … Un’accurata ricerca metrica per un testo che pare suonare una melodia ballabile a ritmo lento…

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Da Sant'Ilario ad Albinea, sempre in festa

Due giorni ricchi di soddisfazioni: prima la vittoria a Sant'Ilario con la zirùdela 'La Ballata delle cestaie' nel nono concorso dialettale organizzato dal circolo 'Il Paese che canta', poi ad Albinea la segnalazione speciale nel premio 'Ugo Bellocchi' per gli studiosi del dialetto reggiano, con la ricerca 'Al savér di noster vecc', dedicata ai proverbi in vernacolo. Nella sezione rassegna stampa, gli articoli dedicati a queste due notizie dal Resto del Carlino di Modena e di Reggio

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